Sono passati 3 anni. 3 anni nella storia di un musicista come Enrico Ruggeri sono un’eternità e se vogliamo questi 3 anni sono stati più lunghi di un’eternità per tutti, per le vicende che ben conosciamo. Si dice spesso che, dalle situazioni peggiori, nascano sempre le cose più belle della nostra vita, che ciò che non uccide, fortifica. Ecco Ruggeri in questi 3 anni di reclusione forzata e di stop alla sua routine di musicista, soprattutto “live”, ne ha approfittato per lavorare a due opere, una letteraria e una discografica, che sono probabilmente i suoi due migliori lavori della sua lunga carriera di artista. Il romanzo Un Gioco da ragazzi (uscito nel 2020 e di cui trovate la mia recensione a questo link https://www.trexroads.com/un-gioco-da-ragazzi-enrico-ruggeri-ed-la-nave-di-teseo-2020/ ) e questo disco. Sono la somma di tutto quello che è stato ed è oggi l’uomo Enrico Ruggeri, passato dalla gioventù schivando bombe e scontri politici e arrivato a combattere per la sua libertà di pensiero, e che, nel mondo di oggi, è un problema per il mainstream che lo vorrebbe allineato. Questo mainstream dimentica che il Rouge allineato non lo è stato mai, fin dai primi vagiti della sua musica e che non saranno di certo insulti “social” a farlo cambiare proprio oggi. Lo avevamo lasciato nel 2019 con l’ottimo Alma (ne avevo parlato in questo articolo, se avete voglia e tempo : https://www.trexroads.com/alma-enrico-ruggeri-2019/ ), un ritorno solista dopo la felicissima parentesi con la sua band punk i Decibel. Un ottimo ritorno, una ventata di aria nuova con il cambio di collaboratori storici e band, riuscito e convincente. Nuova linfa ed energia che sono poi passati attraverso il disco del suo amico e collaboratore Massimo Bigi ( https://www.trexroads.com/bestemmio-e-prego-massimo-bigi-2020-e-intervista-con-lautore/ ). Un album registrato nei suoi studi, gli Anyway, che ha certamente aiutato il processo di affiatamento della sua squadra e che ha dimostrato, se qualcuno ne avesse avuto bisogno, la qualità e il talento degli artisti di cui il Rouge si è circondato, prima di chiudersi negli stessi studi per lavorare duramente a quello che avete ora sotto gli occhi e le orecchie. Un lavoro che, ancora più del precedente, suona davvero come fosse suonato live e che si è avvalso, come raccontato sui social da Ruggeri, di un Decalogo della buona musica affisso alle pareti dello studio che dimostra la volontà assoluta di non intervenire in alcun modo, in maniera “tecnologica” e artificiale sulle canzoni. Si suona per davvero. Eccome! I testi sono il segreto di Enrico Ruggeri da sempre, riflessivi, colti, mai banali o “radiofonici” tanto per catturare ascolti e questi 11 pezzi non differiscono da questo trend anzi lo rinforzano. Il disco, a parere di chi scrive, musicalmente è una vera e propria scarica elettrica, suonato come vi dicevo “live”, energico, con dei rimandi continui alla musica che Ruggeri ama da sempre (anni ’70 londinesi e dintorni). Forse uno dei dischi che a livello musicale mi è piaciuto di più, dai tempi di Peter Pan e Oggetti Smarriti. La band è di altissimo livello ed è ormai squadra consolidata dall’ultimo disco : Paolo Zanetti alle chitarre, Fortu Sacka al basso (e aiuto produzione), Alessandro Polifrone alla batteria, Francesco Luppi alle tastiere, con l’aggiunta in alcune canzoni di voci come quella della grande Andrea Mirò (e del suo violino) o del fido Silvio Capeccia (Decibel) (e della sua hammond) oppure della tromba di Davide Brambilla o del pianoforte di Pino di Pietro e non dimentichiamo il fantastico Massimo Bigi che firma assieme a Ruggeri alcune delle canzoni più belle. La copertina di La Rivoluzione è emblematica della tematica che permea questo lavoro : la foto della classe di Ruggeri anno ’73-’74, II H del liceo Berchet di Milano. Un album che ci parla di sogni giovanili, di rapporti umani, di una generazione che credeva di cambiare il mondo e che si sentiva invincibile ma anche di cocenti delusioni e di una vita che non è quasi mai come la sogniamo da ragazzi. La foto potrebbe avere come didascalia il primo brano, Magna Charta, una canzone parlata, con un tappeto musicale accennato che sarà poi ripreso nella successiva e che alla successiva si lega anche nel testo. E’ un bilancio sincero di una generazione, un affettuoso affresco di tutto ciò che è successo dagli anni della gioventù, con frasi amare e riflessioni profonde che ognuno può fare sue e soprattutto toccheranno i cuori dei sessantenni di oggi. Quegli stessi che credevano di cambiare il mondo e nella title-track, si scontrano con la vita e diventano tutto quello che combattevano e detestavano della generazione precedente. La Rivoluzione è un bellissimo pezzo sorretto dal pianoforte e dall’hammond, una sorta di ballata che sfocia nel rock quando le chitarre accompagnano la frase più significativa del testo : “siamo la rivoluzione da sempre sognata / quella che avremmo tanto voluto così desiderata / vincitori di un grande girone e poi sconfitti in finale / noi che quella sera avevamo da fare”. Una strofa che riassume i sogni di tanti giovani “rivoluzionari” che si sono scontrati con la vita vera. L’intro di basso di La Fine del Mondo è vera goduria per chi ha amato la musica rock e punk degli anni ’70, un richiamo fortissimo che è il cuore pulsante di questa bellissima canzone dalla ritmica martellante e che vede nel lavoro all’hammond di Capeccia, una sorta di citazione della musica che è propria della punk band di Ruggeri. Un pezzo che oscilla fra i sentimenti e la forza di voler combattere ancora per questa vita, nonostante i dolori, le delusioni, sperando che non sia tutto qui. L’originalità di Ruggeri, la sua voglia naturale di essere unico e di non aver influenze esterne, lo avvicina moltissimo agli artisti di cui parlo spesso nei miei articoli, se avrete voglia di leggerli, generi di musica diversi ma ugualmente “indipendenti”, una sua etichetta e nessuna voglia di fare qualcosa imposto da altri o di allinearsi a questo mondo musicale “usa e getta” che ormai è dilagante. Un triste modo di fare musica, dove comandano i singoli suonati oggi e dimenticati domani, dove le “copertine” non si possono ammirare, i crediti sono ignoti, i testi non contano e nulla si possiede o si può assaporare seduti davanti ad uno stereo. Il brano successivo, Non Sparate sul Cantante, è una riflessione sul ruolo degli artisti nel mondo di oggi, nella sua solita maniera originale e mai neanche pensata da nessuno nel nostro paese. Una cavalcata di rock dall’anima cinematografica che inizia con la tromba di Brambilla, fra la polvere del deserto come in uno spaghetti western , un duello ideale fra chi vuole essere artista libero pensatore e chi vorrebbe “sparargli” e che contiene anche una stupenda citazione di Sergio Leone ( “se un uomo con una pistola incontra chi tiene il fucile / il primo può solo pregare e prepararsi a morire”). Secondo il mio modesto parere è una delle più belle canzoni rock mai scritte in Italia. L’assolo di Zanetti poi è di una bellezza scintillante, ma tutta la band è una macchina pressoché perfetta. Dal vivo potrebbe incendiare più di un palco. Comincia poi un trittico di canzoni che abbassa la velocità ma non l’intensità, sono un trio di brani che parlano più al “personale” che alla “generazione”. Si comincia con Parte di Me, pezzo scritto con Massimo Bigi e già presente sul suo disco, che ci racconta del dolore della perdita di una persona importante, nel quale il cantato di Ruggeri è accompagnato da una strumentazione dal suono rarefatto per dare enfasi alle parole potenti. Che ne Sarà di Noi è un brano dal sapore musicale molto vintage, una sorta di rimando al suono delle band che il giovane Ruggeri consumava a tonnellate, ed è un duetto con il leader dei Baustelle, Francesco Bianconi. La seconda voce basse e cupa, regala intensità ad un testo che ci parla ancora una volta delle difficoltà della vita ma che sfocia in un ritornello aperto, in un pezzo dall’appeal radiofonico e nel suono di sax di Stefano Marinoni, ennesimo tocco che ci riporta agli amori musicali del passato, molto Roxy Music style. Infine il trio di canzoni “personali”, si conclude con la più personale di tutte. Alessandro è un brano in cui la musica accompagna la storia di un carissimo amico del cantante, costretto in un letto di ospedale da una gravissima malattia, ad una non-vita. Intensa e toccante questa canzone poetica, ha la forza di cercare un sorriso anche in una situazione drammatica e ci riesce. La collaborazione con Andrea Mirò ci regala Il Gladiatore, un brano energico e rock sia nella musica che nel testo. Una vera e propria dichiarazione di guerra di un uomo che combatte sempre per ciò in cui crede e preferisce farsi “spezzare” piuttosto che “piegarsi”, fischieranno le orecchie al mainstream. Il rock alla Ruggeri continua a volte impetuoso, a volte con un arrangiamento dal sapore orchestrale-epico, anche nella seguente Vittime e Colpevoli ; un bellissimo dualismo che si intreccia e aiuta il testo che è, nemmeno tanto velatamente, una fotografia di un presente che all’autore va strettissimo. Una sorta di amara riflessione di un mondo pieno di “chi vede le persone le persone come pedine della dama” e “chi tiene gli occhi bassi fino a terra senza coraggio per guardare”. Dritto al bersaglio e centro perfetto, come spesso gli capita. Il sentimento “rock” non si abbassa e anzi raggiunge il culmine in Glam Bang, punk rock alla Decibel che infatti vede il finale cantato dall’amico Silvio Capeccia, trait d’union fra il passato e il presente dell’odierno Enrico Ruggeri. La rivoluzione non c’è stata, ma ancora oggi l’ultra-sessantenne Ruggeri si sente rivoluzionario e biasima quelli, che pure pensandola come lui, si nascondono per paura delle conseguenze. Una sorta di continuazione della condanna di una generazione : “c’è una parte di noi che non scrivo e non dico / avversario, fratello parente ed amico” e di questo mondo, quello di questi ultimi 2 anni, che non permette “il dubbio che avanza” anzi lo ostracizza e Ruggeri ne sa qualcosa. L’intenso lavoro si chiude con La Mia Libertà, una chiusura introdotta dallo splendido pianoforte di Luppi che, come racconta lo stesso cantautore, è una sorta di Lettera di Jacopo Ortis moderna. Una lettera d’addio immaginaria di un artista stanco di essere l’unico fra la massa, di essere censurato preventivamente, e , aggiungo io, di essere l’unico che scrive di riflessi pavloviani mentre la maggior parte del mondo musicale di oggi, cercherà su internet il significato dell’espressione. Una lettera sulla felicità di essere se stesso, di essere libero e senza costrizione di nessuno, da sempre. Un uomo maturo e consapevole che, anche se rimarrà solo, sarà felice perché artista indipendente e senza padroni. Enrico Ruggeri lo ha definito recentemente uno dei suoi 5 più bei dischi della sua lunghissima carriera (38 dischi ormai…) e dopo averlo ascoltato a fondo, sia in digitale che sul piatto di un vinile, non posso che essere d’accordo con lui. Un disco che corre via veloce, ma non una corsa superficiale perché non vale la pena fermarsi, ma una corsa perché non c’è un pezzo che ne frena il viaggio e le storie si susseguono come legate da un filo invisibile in un ottovolante emozionale, un’oscillazione continua fra le due anime di questo grande autore, poeta e rocker, che fuse assieme ci regalano 11 pezzi di una bellezza di cui avevamo sinceramente bisogno. Come sempre dico, parlando della sua musica, è un disco per molti ma non per tutti, un disco per chi vuole non solo ottima musica ma anche parole da assaporare e su cui riflettere, che ci parlano dei nostri sogni e delle nostre vite e se poi alimenteranno le polemiche di chi vuol fare censure preventive, allora vorrà dire che La Rivoluzione è davvero cominciata….o non era mai finita?
Buon ascolto,
Trex Willer