“Back To The Valley” – Low Water Bridge Band (2023)

Pochi giorni fa ho fatto un post su uno dei miei social che parlava di una delle mie band indipendenti preferite e finivo la frase con: “è uno tsunami, baby!”

La mia frase si riferiva al fatto che, ormai, nessun addetto ai lavori, anche il più ancorato al mainstream, possa ignorare il circuito indipendente.

Ci sono band che riempiono arene, fanno milioni di streaming e suonano in tv show di successo.

E’ un’epoca in cui ogni giorno scopro nuovi artisti e il giorno dopo altrettanti: è davvero una cosa incredibile.

Spesso di alcuni non riesco a parlare subito e non perché non valga la pena, ma la mia è una passione e non un lavoro e a volte si sovrappongono talmente tante uscite valide che parlarvi di tutte sarebbe impossibile.

Ecco, la Low Water Bridge Band fa parte di questo nutrito gruppo di artisti dal valore pazzesco che mi sono perso per strada, ma bisognava rimediare.

Lo tsunami di cui sopra è stato alimentato per la gran parte, da artisti della regione degli Appalachi e se mi seguite sapete che il Kentucky, la Virginia, il West Virginia sono vere fucine di talenti.

E da dove poteva provenire questa band se non da quei luoghi dominati dalla natura?

La band è composta dal cantante e chitarrista Logan Moore, dal bassista Alex Kerns, dalle batteria di Riley Kerns, da James Montgomery alla chitarra solista, da Justin Carver alla pedal steel e banjo e da Rudy Bzdyk al violino, tromba, tastiere.

Questo ensemble dal talento unico viene dalla zona della valle del fiume Shenandoah, dalla piccola Berryville, vicina in linea d’aria a Washington DC, ma lontana e isolata dal mondo cittadino.

Un luogo orgogliosamente cantato dalla Low Water Bridge Band, un suono che prende le storie dalla vita vera del luogo e con un mix entusiasmante di country, bluegrass, soul e blues regala un secondo album splendido.

Sono nati nel 2020 , ma suonano maturi e sicuri come se fossero al decimo disco.

L’ascesa è stata rapida e come per i 49 Winchester, da cui prendono quel modo di essere influenzati dal luogo in cui vivono, sono esplosi fuori dalla loro regione in poco tempo.

Nel 2021 uscì il bellissimo Midnight in Virginia che li mise sulla mappa, ma con questo Back to The Valley sono pronti per il botto vero.

Mettete sul piatto questo bellissimo disco e partirà l’intensa ballata cupa Sirens of the Shenandoah.

Si parla di omicidi, come fosse un racconto noir e il basso è pulsante e crea un’atmosfera blues assieme ai graffi di chitarra, mentre il banjo ci ricorda che la band nasceva come bluegrass.

Originali e credibili ci regalano un piccolo gioiello. Hanno talento signori: sentire per credere.

I testi sono ispirati dalle storie della zona, ma anche e sopratutto dalla natura: infatti Moore è stato ispirato una notte in campeggio dall’ululato solitario di una volpe a scrivere questo stupendo pezzo.

Sentitevi Slow Down e se conoscete la musica degli anni ’70 e ’80, quella degli anni d’oro, non potrete fare a meno di sentire il sapore di un suono famigliare come quello che facevano uscire dagli speaker Levon Helm e la sua The Band.

Un violino, un ritmo vagamente honky tonk e in 600 Reasons la band passa dal volere con tutto il cuore andare a Nashville, per poi non vedere l’ora di tornare a casa fra le montagne e lasciarsi alle spalle la città che inghiotte il talento.

La voce particolare di Moore è perfetta per raccontare queste storie e l’intreccio di violino, chitarre e pedal-steel, sorretto dai cori, è davvero fantastico.

Hope It’s You è un country ispirato ai classici in cui la band fa una grandissima figura: non solo moderni e originali, ma anche una band country con i fiocchi! Chapeau!

C’è quasi un ritmo ispirato al valzer in Place On A Hill, scritta da Alex Kerns quando si trasferì in una casa di legno sulla collina vicino al fiume: basta chiudere gli occhi e possiamo sentire il vento fra gli alberi e l’acqua dello Shenandoah accarezzarci i pensieri. Bellissima e originale.

Un’altra ballata originale e arrangiata alla grande è Small Town Affair, un country proveniente da un corroborante passato, storie di piccole città e appuntamenti che in un attimo finiscono sulla bocca di tutti.

Le storie di morte e omicidi tornano con la stupenda e conclusiva She Don’t Answer.

Il sound quasi gotico e cupo è quello che ho amato di più di questo disco e la prima e ultima canzone ne sono un fulgido esempio: country venato di blues, ritmo e intensità, chitarre taglienti e storie che prendono lo stomaco.

L’intreccio fra la graffiante chitarra di Montgomery, il violino e il banjo e la voce particolarissima e intensa di Moore sono il segreto di un sound che è destinato a crescere i propri fans in giro e non solo negli States.

Un secondo disco che conferma e anzi alza ulteriormente l’asticella per questi ragazzi della Shenandoah Valley.

Il songwriting è di livello elevatissimo, così come la produzione e il talento di questa band e, spero non tutto il cuore, che il loro percorso abbia lo stesso successo dei tanti artisti nati come loro fra le montagne e i fiumi di questa parte del mondo.

Se amate il feeling e il sound dei 49 Winchester, ma amate anche i mix originali e non disdegnate i The Band e il sound che creava il grande Levon Helm, allora mettetevi comodi e salite sulla barca sul fiume Shenandoah e al resto penserà il sound di una grande band: la Low Water Bridge Band.

Buon ascolto,

Trex

Pubblicato da Trex

Sono un blogger e scrittore appassionato di musica indipendente americana. Scrivo gialli polizieschi e ho inventato il personaggio del detective texano Cody Myers.

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